da Luca Salza,
(pp. 148-149, Mesogea 2015)
“La scrittura di Pizzingrilli è un tentativo postremo di ridare un senso alla capacità conoscitiva, cioè deformativa, cioè trasformatrice, del reale, che ha avuto la letteratura prima di impigliarsi in leggi di mercato, comunicazione e spettacolo. Prima cioè di arrendersi all’evidenza e alla banalità dello status quo. Ma, si badi bene, Pizzingrilli propone il suo atto di resistenza scomparendo. Non c’è traccia autoriale nel suo libro. Egli mette in scena una comunità di marginali sottomessi o disertori, ma, grazie al discorso indiretto libero, l’autore trasferisce le potenze della propria arte verso quelle della comunità fabulante. La fabulazione al posto della finzione, cioè non è più lo scrittore che crea ‘un’ popolo, ma i pesonaggi reali. Non c’è più rappresentazione: la letteratura rompe la rappresentazione inventando piuttosto un popolo con una lingua nuova. In una stupefacente iniziale invocazionealle sue Muse, le Camene, lo scrittore si presenta come <<l’addetto alla manutenzione >> del libretto. Ed è qui che ribadendo la nostra condizione attuale di una <<lingua che non sa oramai più parlare>>, lo scrittore afferma di voler dire <<parole mute>>.”