Ivan Carozzi intervista (su Esquire) Lucia Tozzi sui temi de “L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane”
Quando sei arrivata a Milano? E che ricordo conservi della città in cui sei arrivata?
Nel 2001. Ricordo che, come tutti gli italiani che arrivano da città dotate di bei centri storici, trovavo Milano quasi tutta brutta, pur apprezzando qua e là i monumenti, o alcune straordinarie architetture contemporanee, o i parchi, o gli interni bellissimi di certi palazzi o musei. Ma l’insieme mi appariva irrimediabilmente sgraziato. Solo con il tempo e con lo studio il mio sguardo si è trasformato – è diventato più colto – e ho cominciato a leggere l’eleganza sublime di questa città, la bellezza di un tessuto urbano pensato in maniera non canonicamente estetica, senza inseguire a ogni costo la seduzione.
Quando parli di bellezza del tessuto urbano, a cosa ti riferisci nel dettaglio? C’è un luogo in particolare a cui pensi?
No, penso proprio all’insieme della città, alla sua apparente disarmonia, alla giustapposizione di elementi così eterogenei e a una diffusissima qualità di progetto. Quando ho cominciato ad accorgermi di queste cose ho perso ogni interesse per quell’estetica “vecchia Milano”, cavallo di battaglia delle agenzie immobiliari, che di primo acchito sembrava quasi rassicurante.
Oggi dove vivi?
All’Isola, su una delle piazze più gentrificate di Milano. Un paradigma, e un ottimo punto di osservazione.
Come hai visto trasformarsi la città in questi anni?
Milano ha abbandonato l’amore per la produzione – non solo quella industriale, ma anche quella culturale e sociale – per diventare attrattiva. Ha scelto di entrare pienamente nel gioco delle città globali che competono per strapparsi l’un l’altra flussi di capitali, turisti, studenti, abitanti fluttuanti, e per farlo si omologa sempre di più a modelli di rappresentazione che in un modo o nell’altro rimandano a pochi e insulsi ingredienti: lusso, diversity, smartness e (apparente) sostenibilità. Ma questo obbiettivo ha un costo altissimo: la promozione dell’immagine richiede il sacrificio del contenuto. Tutti gli elementi più vitali, dalla ricerca alla produzione musicale, dalla qualità degli spazi e dei servizi pubblici all’intensità delle battaglie politiche, perdono consistenza di fronte al dominio del format. Il conformismo degli eventi soffoca la sperimentazione, mortifica l’intelligenza e si traduce visivamente in una città noiosa come un grande allestimento.